Fave: c'è una leggenda dietro questa eccellenza primaverile
Dagli antichi Greci,
passando per i Romani, le fave sono state protagoniste di numerose leggende
tanto che si è arrivati a proibirne addirittura il consumo
Con la primavera, tornano
protagoniste sulle nostre tavole le fave. Considerate la “carne
dei poveri” per eccellenza nei tempi antichi, sono tra i legumi più
salutari e, per questo, più amati e consumati. Ciò nonostante, in passato, c’è
chi avrebbe attribuito alle fave significati simbolici negativi.
Questa pianta coltivata in
Europa, fin dall’antichità, ha rappresentato la principale fonte proteica per
diverse popolazioni, ma i Greci sarebbero arrivati addirittura
a proibirne il consumo. È quanto si evince da un’epigrafe del V
secolo a. C., rinvenuta in un santuario di Rodi, in cui si ordinava ai fedeli
di astenersi “dagli afrodisiaci, dalle fave, dai cuori [degli animali]” per
mantenere uno stato di purezza.
Fave proibite nell’Antica
Grecia: la leggenda
Secondo una leggenda, a
vietarne il consumo sarebbe stato lo stesso Pitagora, nel percorso
di purificazione perseguito dal filosofo greco, vissuto alla fine del VI secolo
a.C., e dai suoi discepoli.
I motivi all’origine del
divieto sarebbero stati diversi. Da un lato, si pensa che fosse una precauzione
contro il favismo o “malattia delle fave”, una forma di
grave anemia diffusa in Italia, soprattutto nel Sud e
nelle isole, causata dall’ingestione di fave. Tuttavia, vi è un’altra
spiegazione legata al significato simbolico attribuito alla madre di tutte le
leguminose.
Essendo costituita da uno
stelo privo di nodi, i Pitagorici avrebbero pensato che mettesse in
comunicazione l’Ade e il mondo dei vivi: attraverso la fioritura
delle fave, le anime sarebbero quindi risalite sulla Terra dall’aldilà.
Un’ipotesi avvalorata dal fatto che erano utilizzate nei rituali del culto
dei morti.
Ai pitagorici sarebbe stato
persino proibito toccarle, tanto che, stando alla leggenda, lo
stesso Pitagora, inseguito dai sicari del tiranno Cilone, avrebbe
preferito farsi uccidere piuttosto che attraversare un campo di fave per
mettersi in salvo.
Le fave erano il legume
collegato all’aldilà e ai defunti anche nell’antica
Roma, dove simboleggiavano le anime dei morti e per questo
utilizzate in numerosi rituali scaramantici.
Tuttavia, per i Romani le
fave erano anche simbolo di fertilità e fecondità. Durante le “Floralia”,
le feste in onore della dea Flora, si lanciavano delle fave in
segno augurale. Inoltre, stando a quanto tramanda Plinio, venivano
offerte fave anche durante gli sponsali come augurio per un figlio maschio.
Oggi sono variegati e
numerosi i piatti della tradizione
gastronomica italiana a base di fave, sia secche che fresche. Tra
queste, la zuppa di fave e cicoria, tipica della Puglia o quella
di “favi a maccu” della Calabria, mentre in Campania
consumate fresche con la ventresca di maiale rappresentano una
delle massime espressioni della cucina contadina.
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